Il cervello va in palestra: la mente si può esercitare, proprio come un muscolo.

I metodi più utili, dal brain training alle tecniche di rilassamento.

Allenare la memoria come un muscolo per farla diventare più prestante.

E’ la proposta del brain training: una sorta di palestra per neuroni fatta di giochi ed applicazioni di vario genere su computer e tablet.

L’offerta di esercizio mirato per il cervello è una realtà commerciale in pieno sviluppo, nata con l’idea di mettere a frutto un dato ormai consolidato della ricerca neuroscientifica: la capacità del cervello, anche da adulto, di stabilire nuove connessioni neurali, e quindi di cambiare, imparare, irrobustirsi od indebolirsi, un po’ come succede ai muscoli ed alle ossa.

Come si fa?

Funziona?

E ci sono altri modi oltre all’allenamento al computer per tenere in forma la memoria?

MOLTE MEMORIE. “Non esiste -la memoria-, esistono molti sistemi diversi, molte memorie fra loro distinte e dissociabili”, premette Sergio Della Sala, professore di neuroscienze cognitive all’Università di Edimburgo.

“Non usiamo lo stesso sistema per ricordare la capitale della Turchia, i dettagli della nostra cena di ieri sera, di dover portare nostra figlia a pallavolo ad un’ora precisa, e neppure per studiare per un esame, imparare a guidare, riconoscere un profumo, o ricordare un numero il tempo necessario per fare una telefonata”.

Alcuni anni fa, la British Psychological Society commissionò uno studio per verificare l’efficacia del brain training, formato da due programmi: uno per migliorare la memoria, l’altro per la stima di sé.

Scambiarono però le etichette, in modo che i partecipanti eseguissero gli esercizi dell’altro programma, invece che di quello dichiarato dalla etichetta.

Dopo alcune settimane di utilizzo, le persone non mostrarono alcun miglioramento effettivo delle prestazioni di memoria.

Però, la maggior parte si dichiarò convinta di riuscire a ricordare meglio.

Nonostante questo risultato clamorosamente negativo, e nonostante sia ormai piuttosto chiaro che il brain training non è un modo per diventare più intelligenti e più svelti mentalmente con poca fatica, ci sono dati convincenti che alcuni tipi di allenamento un effetto ce l’hanno.

CALCOLI A MENTE. “Si possono potenziare o riabilitare aree specifiche della memoria con esercizi mirati”, afferma Massimiliano Olivieri, professore di neuroscienze all’Università di Palermo e fondatore di un’azienda, la Neuroteam, che offre questo genere di programmi.

Uno dei classici del brain training è il potenziamento della cosiddetta memoria di lavoro, la funzione di base che utilizziamo per tenere a mente per pochi secondi un numero di telefono, ma anche per immagazzinare informazioni e per manipolarle, dal ricordare nuove parole in una lingua a fare a mente un calcolo.

Di solito consiste in giochi al computer o su tablet, da fare per 10-20 minuti al giorno, come il dual-n-back: un oggetto appare per un attimo sullo schermo, e bisogna ricordare in che posizione si trovava.

Con il procedere del gioco, la difficoltà aumenta: c’è da ricordare il punto in cui era apparso due volte prima, poi tre volte prima e così via, e spesso le informazioni da memorizzare contemporaneamente sono più di una, magari forma e colore dell’oggetto, in sempre minor tempo.

FUNZIONA! “Gli studi ci dicono che la competenza cognitiva di base – la memoria di lavoro – migliora davvero”, osserva Nicola De Pisapia, ricercatore all’Università di Trento e fondatore di Neocogita, la prima azienda italiana ad offrire programmi di brain training, di cui lui stesso è convinto utilizzatore.

“E questo non succede con tipi di stimoli cognitivi più generici, per esempio fare i cruciverba”.

Ci sono poi tecniche che possono aiutare nella fase di codifica di un ricordo, utili per esempio durante lo studio per apprendere lunghe sequenze o per seguire il filo della narrazione.

“Si insegna al soggetto ad immaginare una relazione tra gli elementi di una lista, che siano parole od immagini”, spiega Olivieri.

“Gli studi dimostrano che servono sia per i pazienti con amnesie dovute a traumi o ictus, sia per le persone sane”.

Una ricerca ha dimostrato che un allenamento intensivo di 8 settimane con questo sistema produce modifiche osservabili nella corteccia cerebrale di persone anziane, oltre ad un miglioramento nella capacità di memorizzare serie di parole.

RIPETI AD ALTA VOCE… Queste strategie sono in fondo rivisitazioni di alcune delle mnemotecniche proposte già dagli antichi, come la cosiddetta tecnica dei “loci” riportata da Cicerone, in cui gli elementi da ricordare vengono associati a specifici luoghi fisici, per esempio le stanze di un palazzo o gli edifici di una strada.

Sempre a proposito di studio, anche se non sono state trovate scorciatoie che consentano di farlo con poca fatica, c’è una tecnica di memorizzazione che le ricerche in psicologia cognitiva hanno individuato come più utile delle altre per apprendere in modo duraturo.

“E’ quella nota come retrieval practice, ovvero ripetere ciò che si è appena appreso”, dice Della Sala.

“nonostante il metodo non goda di buona reputazione in ambito educativo, e spesso sia considerato desueto rispetto alle moderne nozioni di creatività ed apprendimento basato sulla scoperta, è dimostrato che fa imparare in modo più efficace rispetto allo studio basato sulle mappe concettuali”.

Una ricerca recente ha mostrato che questo metodo è a prova di esame: se si è studiato così, si riesce a ricordare anche in situazioni di forte stress, che normalmente manderebbe in tilt la memoria.

Studi nel campo delle neuroscienze suggeriscono anche un trucco (questo sì, davvero semplice) per richiamare alla mente quanto si è studiato: guardare verso destra.

In queste condizioni si ricorda meglio.

“Il motivo è che in questo modo si attiva l’emisfero sinistro del cervello e si inattiva la parte frontale destra del cervello, sbloccando il freno che impedisce alle tracce della memoria di essere richiamate”, spiega Olivieri.

I bambini lo fanno spontaneamente, quando si concentrano per ricordare qualcosa, ma ci sono anche esercizi specifici per migliorare questa capacità.

COME I PITAGORICI. Chi lamenta problemi di memoria spesso si riferisce a quella episodica, alla sensazione di avere difficoltà a ricordare eventi e fatti della propria vita.

In questo caso possono tornare utili le strategie di rilassamento.

“Possono servire lo yoga, la meditazione, la respirazione profonda: tutte tecniche che servono a far prevalere alcune componenti del sistema nervoso vegetativo ed a rallentare un po’ l’attività cardiaca”, dice ancora Olivieri.

La memorizzazione in queste condizioni è favorita.

“Si può anche provare a ricorrere ad esercizi consigliati dai filosofi pitagorici, come l’esame di coscienza”, osserva De Pisapia.

Significa che la sera prima di addormentarsi si ripetono mentalmente gli episodi della giornata ed al risveglio, la mattina seguente, si fa un ulteriore ripasso di quelli del giorno prima.

SPORT E BALLO. Un aiuto per la memoria può venire infine da forme di allenamento che apparentemente non c’entrano niente, come l’attività fisica.

Ed ampi studi sulla popolazione confermano che conta lo stile di vita in generale, essere attivi intellettualmente: chi usa di più il cervello ha meno probabilità di andare incontro a forme estreme di decadimento cognitivo come la demenza ed il morbo di Alzheimer.

E sono tutte forme di brain training anche leggere libri, giocare a scacchi od a carte, andare al cinema, frequentare gli amici, imparare una nuova lingua e ballare.

Una vita attiva, insomma, è la strategia più efficace per preservare la nostra capacità di ricordare.

                                 10 MINUTI AL GIORNO

E’ il tempo minimo necessario se si vuole seguire un programma di brain training per migliorare la propria memoria.

Il trucco più semplice per ricordare? Guardare verso destra

IL BOOM DEI CASCHETTI CON GLI ELETTRODI. Negli Stati Uniti gli studenti li usano già per tentare di aiutarsi nello studio: sono gli stimolatori elettrici o magnetici del cervello.

Si tratta di caschetti od apparecchi tipo cuffie, dotati di elettrodi, tramite i quali una corrente elettrica a bassa intensità arriva alla corteccia cerebrale.

“Questo genere di stimolazione modifica le oscillazioni dei neuroni per orientarne i potenziali elettrici verso la frequenza che si sa essere ottimale”, spiega Massimiliano Olivieri, professore all’Università di Palermo ed esperto di questo settore.

Per la memoria, per esempio, i neuroni dell’ippocampo dovrebbero oscillare a 40 hertz (40 volte secondo).

Alcune sperimentazioni in corso cercano di verificare se, per esempio nei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, la stimolazione elettrica possa migliorare la capacità a ricordare.

Ma, come per altre tecnologie, anche fuori dai laboratori ed in mancanza di prove che funzionino, si è già formata una nicchia di mercato per questi dispositivi ed una comunità di utenti che ricorre al fai-da-te.

SE LA TESTA VA IN RISERVA

DECLINO. Perché qualcuno rimane lucido e svelto fino a 90 anni, ed altri cominciano a mostrare i primi segni di declino a 60?

E’merito (o colpa) della “riserva cognitiva”, l’insieme di risorse che, accumulate in gioventù od in età adulta, condizionano l’efficacia della mente nella vecchiaia.

L’idea è nata quando, esaminando dopo la morte il cervello di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer o da varie forme di demenza, gli scienziati si sono accorti che, a parità di danni, le persone non avevano da vivi lo stesso deterioramento cognitivo.

Analizzando che vita avesse fatto chi è arrivato meglio alla fine, hanno individuato i fattori protettivi.

Uno è l’istruzione: per chi ha studiato di più da giovane di solito il declino arriva più tardi, ma poi è più rapido.

Aiuta, anche, imparare una lingua da adulti, studiare musica o suonare uno strumento.

Ed ancora: avere buone relazioni sociali, uscire, andare al cinema o al teatro.

(l’articolo è riportato dalla rivista FOCUS)

Presso gli Studi Medici Secialistici dell’Ortopedia Cossia si possono prenotare trattamenti con Maestri in tecniche di rilassamento naturali come il massaggio Shiatsu ed il massaggio “cranio facciale”.